Francesco Aprile, testi estratti dal numero 117, ottobre 2020, de Il segnale. (Parte)
I. succede che viene istanziato un metodo. succede che questo metodo è già istanziato in altra classe. succede che si mobilita un warning, allarme allarme, aiu aiu aiuto. succede a volte che il metodo non cessi nell’azione l’esecuzione della cosa, del processo. il fatto della noesi che si vorrebbe nell’azione l’esecuzione della cosa allora, aiu aiu aiuto, non incontra la resistenza del metodo istanziato e replicato. succede a volte, e le volte coincidono con sempre, e quando succede allora succede, accade il fatto e nel fatto si producono e raccolgono più azioni. e quando accade, allora, il successo o l’insuccesso dell’azione complessiva non resiste all’accadere stesso. succede a volte che viene istanziato il giorno, ogni giorno con il moto dei corpi che, celesti, non annusano mai lo smarrimento dell’infinito. succede allora questo tempo senza dio, con troppo dio.
II. Fermoimmagine, lacuna, latenza, il calvario della possessione denuncia la costruzione dell’esserci, mentre abbandoniamo lo statuto fondamentale delle cose attraversando i muri, sul piano rialzato di casa si concentrano animali esotici, asciugati, confusi, immateriali, oggetti negli oggetti, destinati al fermoimmagine, destinati alla persistenza, cerchiamo nell’oblio la soluzione.
III. Dottore, il mio corpo è nuvola. Scimitarra ha le valvole che compendiano l’esplosione, o la forma della guerra civile, in famiglia. Fratello che uccidi fratelli nella stessa città, che è casa, cosa, famiglia, grembo, utero, pausa, nausea, odissea, lastrico, basico, metallico, attivo, vortice, pollice, indice, medio. Medio. Dottore, il mio corpo è al lastrico. Rene spugnoso. Doppio rene copioso, spugnoso. Il mio corpo è al lastrico, afa, apnea, relitto, rettile, in bagno coccodrilli e nidi di polline. Cerchiamo nell’oblio la soluzione. Dottore, il mio corpo s’annuvola. Oblio. Polline.
IV. Riconteremo i morti, chiedendo udienza ai vivi? Apriremo parentesi. Avremo la terra nei denti? Avremo la terra nei denti.
Fuori il mondo era disturbato come un glitch. Non si era mai visto un cielo così frenetico, tanto che ai presenti non era chiaro se fosse un’alba o un tramonto andato a male.
È lì che comincia. Di fronte al paese, dove si stende la piana, si prende il bosco e si accendono le interferenze. Ogni corpo è in parte qui e lì. Chiudendo gli occhi, tornano a essere interi.
Tutto stava in tutto, ma tutto era una fessura per altro. Come persone, allora, passavamo negli oggetti. Eravamo forme a completare altre forme, finestre senza dettagli esclusivi fra le cose, passaggi violenti di senso.
Il testo, come le persone, era un po’ qui e un po’ lì. Le parole si dislocavano in frammenti assoluti e relativi senza montaggio. Lo spopolatore stanava i sensi col bastone e diceva: concludere la frase, se necessario, mentre la lingua è ancora clandestina. Appiccare incendi, a folate.
Più di tutto andavano avanti le forme confuse dei movimenti. Sono a Tangeri e un attimo dopo è già Città del Messico. Ovunque si posano frammenti di cielo. Ogni cosa si muove con frenesia. Più di tutto andavano avanti le forme confuse dei movimenti. Niente più cose, né persone. Né. Se le cose non stanno al loro posto non c’è presente né memoria. Più di tutto andavano avanti le forme confuse dei movimenti. Sono a Tangeri e non posso saperlo, tutto è movimento, nulla è al suo posto, forse è già Citta del Messico. Le cose si muovono senza spazio, più di tutto, ma non posso saperlo.