Il coniglietto di luna, il ricordo del ripetersi nelle pagine di Ignazio Apolloni

tratto da: edizioni cfr poiein – http://www.edizionicfr.it/mailing/00001/14_Aprile1.pdf

Apolloni, I., Il coniglietto di luna, Edizioni Arianna, 2009

Intervento sulle forme del ricordo  della favola
di Francesco Aprile
2012-03-12

Ci sono parole e situazioni che sembrano tendersi e accentuarsi nell’ottica di una collocazione temporale diversa, salvo, poi, tornare all’attenzione del lettore per il loro non provenire da un passato remoto costruito lungo un tramandarsi di generazione in generazione. Sono, invece, favole moderne che ci impongono il ricordo, un percorso di attenzione ad una condizione comune a tutti gli uomini, condensata nello spazio sognante che s’incaglia negli occhi poco prima del risveglio. Il ricordo è quel leitmotiv che dura una vita e si protrae nelle vicissitudini di altre persone, estendendo la sua propria durata oltre una vita stessa, sussiste, infatti, nel replicarsi, nell’esserci nelle vite altrui, annodato alla condizione dell’esser stati tutti bambini. In questa condensazione umorale tipica dell’essere bambini, del significarsi il mondo con lo sguardo incantato dell’immagine, si accoglie un percorso inconscio, quella struttura atemporale straussiana, che ricollega le favole di Ignazio Apolloni, seppur moderne, alla condizione tipica del racconto popolare che travalica il tempo destinandosi all’oblio, non per dimenticanza, ma per rassegnazione come assenza di catalogabilità, dove nella perdita del proprio tempo come datazione si riscopre un valore di rappresentazione universale della parola corredata da un linguaggio immaginifico, proprio dell’uomo archetipo che si spiega il mondo con l’immagine frammentata e soffusa dell’inconscio e l’incanto negli occhi come i sogni poco prima del risveglio. Il coniglietto di luna è una raccolta di favole di Ignazio Apolloni, impreziosite dalle illustrazioni di Roberto Zito, pubblicato da Edizioni Arianna nel 2009. Ignazio Apolloni è autore esponente della Singlossia, forte nella sua opera letteraria è la commistione del linguaggio scritto che s’accompagna al contesto, magico, di una componente fumettistica, una condizione che porta a favolare le parole, affabulazione sistematica del contenuto attraverso esportazione semantica di una serie di significanti rielaborati, in quest’opera, per la precisione, attraverso le illustrazioni del già citato Roberto Zito che decontestualizzano il percorso sociale contemporaneo, relazionando, come accennato in precedenza, la parola ad un incavo incantato che staccato dalla datazione del suo tempo di origine è singlottico, perché nasce sulle macerie della sua contemporaneità ponendosi nell’avviso di un divenire, in un tempo diacronico che ci proietta nella nostra singola condizione futura di uomini sognanti attorcigliati ad alberi di fluorescenti inclinazioni inconsce, a derivazioni post-urbane dove la natura, attraverso la favola, riprende a sé lo spazio che le è defraudato. Si riscopre, la natura, come momento d’incanto nel susseguirsi di personaggi a metà fra una inanimata dolcezza d’infanzia nello spazio di un peluche e lo scintillio vitale libertario del correre di un coniglietto nelle distese incantate dei nostri occhi aperti all’incredibile.

Storia dell’uovo d’oro/L’immaginario di Ignazio Apolloni

da Il Paese Nuovo, Arte della narrazione, Storia dell’uovo d’oro, 2011-11-04

Storia dell’uovo d’oro è una favola per adulti, scritta da Ignazio Apolloni negli anni ’70 – in un crogiolo temporale volto alla continua ricerca di sempre nuovi sistemi di sovversione artistica-letteraria, a spianare il classico apparato segnico – diffusa inizialmente, assieme ad altre, sotto forma di volantinaggio e poi raccolta in volume con prefazione di Roberto Roversi. La favola venne illustrata da Roberto Zito che, in maniera inconsueta, entrò nell’ottica dello scritto, che in forma ironica-favoleggiante sconfina in un sostrato dimensionale proprio delle tensioni dell’epoca, allargando le percezioni segniche attraverso le commistioni linguistico-visive di Zito. Il tutto fu, inoltre, impreziosito dalle sculture di Giusto Sucato. Storia dell’uovo d’oro divenne, ad opera del regista Gigi Borruso, uno spettacolo teatrale con l’ausilio di Stefania Blandeburgo voce narrante; Maurizio Maiorana sax tenore; Pietro Manzella nella veste di gallina alle prese con le difficoltà di espellere l’uovo. Questo spettacolo fu portato nella sede dell’Associazione Marcel Duchamp di Caltanissetta, a Enna presso la Galleria 3A e presso l’auditorium del Museo di Gibellina. Il libro, oggi riedito Edizioni Arianna conta al suo interno, oltre alla prefazione della prima edizione, quella a firma di Roberto Roversi, le illustrazioni di Roberto Zito, foto delle opere di Giusto Sucato, interventi di Franca Alaimo, Carmelo Pirrea, Vinny Scorsone, Enrico Calamai, documentazione fotografica dello spettacolo teatrale a cura di Calogero Barba, la storia dell’uovo vista da Vira Fabra, interventi visivi di Anna Guillot – oggi presso la Biblioteca Nazionale di Firenze – documentazione fotografica della mostra tenuta presso la Galleria 3A di Enna, un intervento del 1982 di Francesco Carbone riguardante la mostra di Enna, interventi di Francesco Carbone, Walter Guttaduria e Fiorella Falci – del 1984 – riguardanti la mostra presso l’Associazione Marcel Duchamp di Caltanissetta, interventi visuali e fotografie di Pietro Ales, disegni di Nicolò D’Alessandro e Pietro Cerami.

Vladimir Jakovlevič Propp, la morfologia della fiaba, lo schematismo, la strutturazione irreversibile delle componenti che, presenti o no, se ci sono s’apprestano a realizzarsi nella storia alla stessa cadenza, posizione, situazione. Jurij Michajlovič Lotman ne scompone l’essenza esistente. L’accostamento di elementi equivalenti mutuati nella ripetizione, nell’oscillazione ritmica della parola, la contiguità metaforica della non equivalenza; Apolloni, nell’allitterazione, l’assonanza, la consonanza ritmica che stride fino a farsi dissonanza concettuale, pone l’ironia ed il gioco al servizio di un ribaltamento strutturale della favola, della narrazione, come suo solito fare, come anche in Lady Macbeth (romanzo pubblicato da Coppola Editore), nel groviglio di una narrazione che nasconde soggetti e oggetti e ne porta alla luce altri, inaspettati, punti fermi di quei anni ’70, le tensioni sociali, politiche che attraverso l’uso di una forma di narrazione inconscia all’umano, al sentire che è figlio del bambino, del puer che allatta ancora nel groviglio dell’anima, scaturisce, la favola, in un progressivo diradarsi, è presa di posizione, di coscienza ripulita dalle strutturazioni della consueta caratterizzazione, di quell’opposizione bene-male classicheggiante, e niente eroi o mostri cattivi, fate o folletti, ma il rovesciamento della medaglia che fa del quotidiano l’immaginario uscente di un linguaggio favoloso perché pieno dell’inconscia reminiscenza bambina, di uno stupore che si lega ad una strutturazione che più non c’è. Scrive Apolloni che «C’era una volta l’uovo di Colombo, direte Voi, e comincerete a pensare a cristoforo colombo, all’america, al vietnam […] a marconi, alla radio, al radio, a madame curie, ai fuoriusciti polacchi, alla polonaise, a chopin, a george sand, al suo sigaro, a truman, ad alamogordo, a fermi, ali infermi dell’8 agosto 1945» in una commistione di linguaggi, dall’apparato segnico della scrittura al favoleggiare del mondo del fumetto, il bianco e nero inchiostrato di poesia all’interno di un contesto storico che, dice Roversi, si apre e «propone per la prima volta, credo, il senso di uno stravolgimento generalizzato – senza alcuna apocalisse, ma con la cattiveria abbastanza naturale anche se difficile da gestire, delle società o delle epoche che si dispongono a rinnovarsi dal fondo. In una situazione simile la condizione persistente, generalizzata e alienante – e che reputo negativa con dolore e da circoscrivere con forza convinta – è la disperazione. Che dà il senso del vuoto e nel vuoto precipita, senza offrire alternative». Storia dell’uovo d’oro era una delle alternative. Uno spazio che vomita simboli ripulendosene, aprendosi ad una condizione per cui si è districati, in quanto lettori, da ciò che attorno muove, dall’età anagrafica, dai pregiudizi di sorta, è la costruzione sonora della pagina che ha il ritmo incantato della spensieratezza che si apre all’ascolto e sa farsi riflessione senza mai staccarsi da quell’ironia di fondo, tipica dell’autore, che si lega a doppio filo con la poetica-visiva di Roberto Zito; nel bilico della commistione dei linguaggi, l’ibridazione delle forme di comunicazione, dada, il collage, l’aspetto proprio della prima poesia visiva per cui scriveva Eugenio Miccini «la poesia visiva agisce in maniera radicalmente critica sui linguaggi dei massmedia […] si è formata una specie di inter-lingua massificata che corrisponde perfettamente ad analoghi atteggiamenti massificati [Miccini, Adriano Parise Editore, pp. 16, 40, 41]», il fumetto che accorpa in sé le dinamiche del pubblicitario per scoprirsi messaggio e mezzo polivalente che ha nelle forme “prime” dei nostri ricordi il necessario guizzo per divincolarsi dalla memoria stessa e farsi presente in quel continuo modellarsi nell’interazione dei linguaggi.

Francesco Aprile
2011-10-29